Proseguendo con il discorso sul burnout genitoriale, se si ha la sensazione che le cose stiano degenerando, la prima cosa da fare è cogliere i segnali d’allarme. Se ci sentiamo stanchi e privi di motivazione nello svolgere o ascoltiamo sempre distrattamente, se ci innervosiamo spesso e rapidamente, se abbiamo la sensazione che tutti i nostri sforzi siano vani e inefficaci, dobbiamo valutare la possibilità di soffrire di burnout. Dal burnout si può uscire ma è necessario prima di tutto diventarne consapevoli e in secondo luogo rompere il tabù. Dobbiamo iniziare ad ammettere a noi stessi e agli altri che qualcosa non va e che la causa di questo qualcosa riguarda proprio i figli e il nostro essere genitori. Spesso quando ci confrontiamo con le altri madri i discorsi riguardano per lo più le abitudini dei nostri figli o il loro modo di essere: raramente capita di sentire madri che parlano tra di loro della loro fatica e difficoltà di essere un genitore. Se lo facessimo scopriremmo di non essere le sole, che alcuni pensieri o sentimenti sono molto più comuni di quello che potevamo immaginare e che una delle risorse più grandi ed utili sono proprio le altre madri. È importante che ci sentiamo libere di chiedere aiuto e di confrontarci con un medico, uno psicologo o più semplicemente con le altre mamme senza il timore di essere giudicate. La gran parte del lavoro riguarda la sfera psicologica e comportamentale: perché siamo arrivati a tanto? Quali sono le caratteristiche di personalità che hanno contribuito a creare questa situazione? Che gestione del tempo abbiamo? Andiamo con ordine.
Gestione del tempo e emozioni positive
Lo stress può anche derivare dalla sensazione di non avere alcun controllo sul tempo e sulle attività che svolgiamo. Ridurre il rischio di burnout vuol dire anche imparare a gestire il tempo in maniera efficace ritagliando momenti da dedicare a noi stesse o al divertimento. Una prima azione che può rivelarsi utile è quella di calcolare i tempi dedicati agli spostamenti per far sì che questi siano adeguati e si riduca la sensazione di andare sempre di corsa. Un’altra strategia è quella di osservare gli impegni della nostra settimana identificando il numero delle esperienze gratificanti e piacevoli. Potremmo accorgerci di non concedere a queste esperienze il giusto spazio oppure renderci conto che dedichiamo loro dei momenti sbagliati. È importante pianificare le attività da svolgere in base alla priorità: le attività più importanti andranno svolte per prime in modo tale da avere tempo per poter svolgere attività piacevoli che funzioneranno come ricompensa. Se per esempio accompagniamo nostro figlio a nuoto, mentre attendiamo che la lezione finisca possiamo leggere un libro, ascoltare la musica che ci piace, intrattenere conversazioni con amici. Quando alla fine della giornata mettiamo a letto nostro figlio proviamo a tollerare i piatti sporchi nel lavandino e sediamoci sul divano a guardare un film o a bere un bicchiere di vino. Inoltre ciò che conta è che non ci sia troppo squilibrio nel rapporto tra le attività necessarie e le attività piacevoli. Le esperienze che innescano emozioni positive arginano l’impatto di quelle che causano emozioni negative e anche se numericamente inferiori devono poter essere vissute. Infine stiamo attente alla capacità di godere appieno di queste esperienze: spesso infatti non riusciamo a trarre da queste esperienze il massimo beneficio perché crediamo di non meritarle o siamo preoccupate che possano finire presto. Se ci troviamo ad una lezione di yoga ma rimuginiamo tutto il tempo su un problema la possibilità di godere della situazione sarà minore. Accantonando i pensieri interferenti e spostando la consapevolezza sulle sensazioni derivanti dalla lezione e sui dettagli di quella specifica esperienza il livello di gratificazione aumenterà notevolmente.
Caratteristiche di personalità
Ritorna il tanto nominato perfezionismo genitoriale! Avere degli standard troppo elevati e inseguire l’idea del genitore perfetto e super efficiente può esporci al rischio di burnout. Valutiamo la possibilità di eliminare le attività a cui i figli tengono meno se per esempio queste ci richiedono un impegno eccessivo o ci portano via tempo che potremmo impiegare in cose più utili e piacevoli. Se nostro figlio va a lezione di pianoforte e di nuoto forse possiamo rimandare la lezione di chitarra a un altro momento di vita: lasciare del tempo libero a noi e lui potrebbe rivelarsi funzionale e sano. Chiediamo ogni tanto ai nonni o agli zii di accompagnare i bambini invece di inseguire il dono dell’ubiquità pur di essere noi a fare tutto. Se mangiamo di tanto in tanto una pizza surgelata e non raggiungiamo l’obiettivo di cucinare sempre piatti espressi potremmo guadagnare del tempo per rilassarci o divertirci con i nostri figli o da soli. Infine un concetto conosciuto e diffuso: il tempo di qualità. Quello che trascorriamo con i nostri figli deve essere un tempo di qualità. E con questo non voglio dire che dobbiamo seguire alla lettera il manuale montessoriano per sviluppare le abilità del bambino. Anzi, tutt’altro. Pur di essere ottimi genitori ci troviamo a svolgere con i nostri figli attività noiose o che detestiamo: io stessa cado spesso in trappola e mi ritrovo ad insegnare a mia figlia le forme o i colori quando preferirei coinvolgerla in esperienze che mi piacciono come il giardinaggio o i lavoretti artistici. Passare con i nostri figli del tempo di qualità vuol dire trovare attività che piacciono ad entrambi: in questo modo non avremo la sensazione di sacrificare tutto il nostro tempo e riusciremo a rigenerarci. Sono certa che qualche gioco educativo in meno e un bel ballo in salotto con la musica ad alto volume non influiranno negativamente sull’intelligenza di nostro figlio!
Genitori, diamoci una mano
Infine un breve accenno all’importanza della solidarietà genitoriale sia tra i genitori dello stesso figlio sia tra i genitori in generale. Fare gioco di squadra nell’educazione di un figlio riduce notevolmente i livelli di stress: se un genitore insiste perché il figlio mangi e l’altro controbatte dicendo: “lascialo stare, non vedi che è stanco?”, può accadere che il primo genitore si senta privato del supporto emotivo e che questo complichi ulteriormente la gestione dei figli. I genitori che fanno squadra riusciranno più facilmente ad essere coerenti nell’arduo compito educativo, diminuiranno la possibilità che il figlio si opponga ai messaggi educativi e aumenteranno il senso di efficacia genitoriale. Inoltre come ho già accennato prima, è importante avere la possibilità di condividere le proprie fragilità con le altre madri: spesso per paura di essere giudicate facciamo fatica a parlare di quanto possa essere difficile fare il genitore. Temiamo di poter apparire madri poco degne se ci lamentiamo di fronte a tutti dello stress e delle difficoltà emotive che si incontrano crescendo un figlio. Io vi posso dire che la condivisione può diventare un prezioso strumento di cura e di consapevolezza. Smettiamo di nasconderci dietro la facciata della mamma e della donna che ha tutto sotto controllo e proviamo a condividere i nostri vissuti di solitudine, paura o frustrazione: scopriremo di non essere affatto sole, di non essere affatto strane, di non essere affatto anormali.
Valutiamo la possibilità di un percorso psicoterapeutico
Ultimo ma non ultimo, un percorso psicologico potrebbe aiutarci a modificare alcuni aspetti della nostra personalità e quotidianità che aumentano il rischio di burnout. Il rilassamento muscolare progressivo, la tecnica delle immagini piacevoli o la respirazione diaframmatica sono solo alcune tecniche che possono essere apprese durante un percorso di psicoterapia e che possono rivelarsi molto utili nella gestione efficace dello stress.