Disturbo borderline della personalità: sono parole che fanno pensare a un forte disagio mentale e suggeriscono l’immagine di una persona in gravi difficoltà. Io vorrei raccontarvi molto semplicemente la mia esperienza di paziente.
Un bambino e un adolescente irrequieto
Sin da bambino frequentavo gli psicologi infantili: a scuola ero disattento e molto irrequieto, tanto che mi fecero fare il test per il disturbo dell’attenzione, ma i risultati non evidenziarono nulla in particolare. A mio padre dissero che l’irrequietezza poteva essere causata da circostanze ambientali di forte stress: ho avuto un’infanzia dolorosa e difficile, la famiglia dal lato di mia madre è sempre stata disfunzionale, complessa, con relazioni conflittuali molto violente.
Quando poi arrivai all’adolescenza iniziai a soffrire intensamente di disturbi depressivi che si riflettevano anche nella sfera psicosomatica. Avevo forti mal di testa, difficoltà respiratorie (dispnea) e nausea. Erano sensazioni di malessere che portavo con me costantemente, anche a scuola e nella vita di tutti i giorni. Iniziai un primo approccio psicoterapeutico che però abbandonai presto: era troppo difficile per me all’epoca affrontare quel disagio così profondo.
Spesso quando parlo del mio disturbo all’esterno, specie se a persone non adeguatamente informate in materia, mi rendo conto che molti credono che essere borderline significhi avere una personalità multipla o essere una persona in qualche modo fuori controllo. La verità è che per gran parte della mia vita avrei voluto solo essere trattato come chiunque altro e questo purtroppo non sempre è avvenuto: avevo crisi di rabbia e profondi malesseri che nel mondo esterno erano negati o rifiutati, con la conseguenza di aggravare il problema anziché risolverlo. Per questa ragione ho dovuto lottare molto per far rispettare il mio disagio, spesso in un contesto sociale che raramente ancora oggi riconosce le difficoltà per quello che sono, senza giudicare.
Da adolescente mi affascinava il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer che vedeva l’esistenza umana come un’oscillazione continua fra noia e sofferenza, e sosteneva che il piacere fosse l’assenza del dolore. Un altro scrittore che negli anni mi ha molto colpito è stato il poeta tedesco Novalis, per il quale «bisognerebbe essere orgogliosi del proprio dolore, ogni dolore ci rammenta il nostro alto livello», e sono assolutamente d’accordo, perché ricordiamoci che il nostro malessere è l’espressione di un’elevata attitudine creativa e sensibilità. Sin da bambino ero infatti molto creativo, a otto anni iniziai a suonare il pianoforte e ora sono un musicista. Si può dire che la musica e la poesia mi abbiano davvero salvato la vita. Per questo motivo tanti di noi che stanno male per disturbi depressivi a mio parere di paziente dovrebbero provare, senza giudizio ed eccessiva competizione, a incanalare le loro risorse in attività costruttive che possano dar loro un po’ di soddisfazione personale. L’ansia, la paura, la rabbia sono tutte manifestazioni della nostra energia interiore, della spinta alla sopravvivenza che ci mantiene legati all’esistere.
La terapia: un lavoro di alti e bassi, traguardi e delusioni
A vent’anni ebbi le prime crisi di panico, facevo dentro e fuori dagli ospedali, convinto ogni volta come la prima di essere in fin di vita, tormentato dal senso di colpa per non riuscire a migliorare le mie condizioni. Furono però proprio queste crisi a farmi riprendere la psicoterapia che avevo interrotto. Inizialmente mi sentivo sotto esame e spesso avevo la sensazione che la cura non funzionasse, anche perché in famiglia ricevevo spesso svalutazioni rispetto a me stesso e alla terapia; solo con molta fatica sono riuscito nel tempo ad aiutare le persone intorno a me, e specialmente me stesso, a riconoscere il mio malessere senza condannarlo. Perciò senza timore dobbiamo a ogni costo cercare di sopravvivere al dolore, perché quella sofferenza ci sta parlando e sta raccontando la nostra storia e i nostri bisogni primari di esseri umani. Non stiamo decidendo di abbandonare la depressione, ma di farla nostra, raggiungendo una consapevolezza di noi stessi tale da permetterci di migliorare la qualità della nostra vita. Questo, infatti, è ciò che ho raggiunto dopo tanti anni di terapia: è stato un lavoro di alti e bassi, grandi traguardi e delusioni, sofferenza ma anche tanta creatività.
Le risorse nascoste dentro
Potrei dire che ormai sono anche un po’ affezionato a quel magone che sento alla bocca dello stomaco, sono quasi affascinato dalla mia inquietudine. Potrà sembrare qualcosa di ambiguo, ma è stato il modo con cui personalmente sono riuscito a stare meglio. Lo scopo della mia vita è diventato guardare avanti, rimanendo legato al momento presente e sopravvivere senza dimenticare l’amore per me stesso. Tutti, con un po’ di lavoro su di noi, possiamo scoprire di avere delle risorse nascoste dentro, come la nostra stessa sofferenza, forse la più grande forza che abbiamo, quella che ci permette di lottare, vincendo ogni giorno una nuova piccola battaglia, fino alla fine della guerra. Quando stavo molto male, per aiutarmi a stare meglio mentre ero a letto in preda ai miei disturbi, mi ripetevo di alzarmi anche solo per andare in bagno, anche soltanto per bere un po’ d’acqua. Solo il fatto di stare in piedi per quei cinque minuti sarebbe stato il più grande risultato della mia vita.
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