Ricordando i giorni trascorsi nell’area di isolamento di un istituto psichiatrico americano, Marsha Linehan rivela: «Mi sentivo completamente vuota, come l’uomo di latta, e non capivo come mi stesse succedendo». All’epoca la Linehan non era ancora una famosa docente e terapeuta americana, né tantomeno una studiosa di fama internazionale. Era solo Marsha, un’adolescente affetta da disturbo borderline, alla quale era stata erroneamente diagnosticata una schizofrenia.
Da paziente a terapeuta. Nessuno meglio di chi ha provato l’inquietudine, la solitudine, la paura che accompagna il disturbo borderline, avrebbe potuto ideare una strategia per uscirne. Dopo la laurea Linehan passò anni a lavorare con pazienti che avevano tentato di porre fine al proprio dolore togliendosi la vita. Fu a quel punto che capì: la sofferenza è la chiave, per cambiare davvero bisogna accettarla.
Nasce la DBT. Molti anni dopo questa intuizione, l’ex paziente Marsha Linehan mise a punto un nuovo approccio terapeutico: la Dialectical Behavior Therapy. La DBT è un trattamento cognitivo-comportamentale pensato per la cura di persone con diagnosi di Disturbo Borderline e comportamenti cronicamente suicidari. Il rischio che questi pazienti si tolgano la vita è infatti molto alto, dieci volte superiore alla media della popolazione. La DBT si compone di tre elementi: un gruppo di skills training, finalizzato all’acquisizione di competenze per la regolazione di comportamenti disregolati; una terapia individuale; un servizio di coaching telefonico.
Lo skills training Letteralmente è l’“allenamento delle abilità”. Un po’ come succede in palestra, i pazienti si allenano a sviluppare strategie nuove per risolvere problemi vecchi. L’attività si svolge in piccoli gruppi, da un minimo di 3 a un massimo di 8 persone. Dura circa 6 mesi, con incontri settimanali da un’ora e mezza.
L’obiettivo principale è imparare a regolare le emozioni. Se il dolore per un rifiuto e per una parola fuori posto diventa sopportabile, la persona non avrà più bisogno di ricorrere ad alcol, droga o a pratiche di autolesionismo. Il primo step prevede l’insegnamento dell’abilità di mindfulness (consapevolezza).
Attraverso la meditazione il paziente impara a porre attenzione al presente, a controllare i pensieri e a “schivare” le critiche che rivolge a se stesso e agli altri. Inoltre sviluppa la capacità di accettare la realtà così com’è e di fare scelte sagge. In un secondo momento il partecipante allo skills training apprende a perseguire i propri desideri e obiettivi in maniera funzionale, vale a dire facendo in modo che questo non comporti la distruzione delle relazioni interpersonali.
Il terzo gruppo di abilità riguarda la regolazione delle emozioni: si allenano le capacità di osservare e di dare un nome ai propri stati d’animo. Si lavora sulla riduzione della vulnerabilità emotiva, sulla gestione delle emozioni negative e sul potenziamento delle emozioni positive.
Questo non vuol dire, però, che dolore e sofferenza non torneranno. Per questa ragione, le ultime abilità riguardano la tolleranza. Combattere e rinnegare la sofferenza spesso la rende solo più acuta. Tollerarla invece è parte integrante del tentativo di accettare se stessi o la situazione fonte di dolore. Senza accettazione è impossibile passare a strategie di cambiamento e di soluzione dei problemi.
La terapia individuale. La DBT prevede che al percorso in gruppo si affianchi quello individuale. Il rapporto che il paziente instaura con il terapeuta mira a tenere alta la motivazione e ad applicare le competenze acquisite alle sfide della vita quotidiana.
Il coaching telefonico. E se lo stress acuto arriva di domenica pomeriggio o alle otto di sera? Il trattamento prevede la possibilità di contattare il terapeuta per fronteggiare momenti particolarmente critici che si presentano nella vita quotidiana (ad esempio gli impulsi suicidari).
«Sei una di noi?» È questo che una paziente di Marsha Linehan voleva sapere dalla sua terapeuta. «Se tu lo fossi daresti a noi una grande speranza». Fu quella la prima volta in cui la madre della DBT raccontò pubblicamente di soffrire anche lei di disturbo borderline.
«Onestamente, nel periodo passato all’istituto psichiatrico non realizzavo che stavo combattendo contro me stessa. Ma è probabilmente vero che ho sviluppato una terapia che fornisce ciò di cui io ho avuto bisogno per molti anni e che non ho mai ricevuto».