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Disturbo post traumatico da stress e resilienza

Sappiamo che il trauma psicologico è uno dei fattori che contribuiscono maggiormente allo sviluppo di disordini affettivi, dell’alimentazione, del sonno e dei tentativi di suicidio. E in tempi di lockdown e di ansia da Coronavirus, l’idea che tutta Italia abbia vissuto una sorta di trauma collettivo è stata più volte menzionata da vari commentatori sui giornali e in TV, insieme alla resilienza e al disturbo post traumatico da stress (DPTS). Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza su questi due concetti, alla luce delle ricerche più recenti.

Possiamo definire la resilienza come la risposta fisiologica a un evento traumatico: è un processo dinamico che comprende adattamenti positivi anche in un contesto avverso. Nei soggetti resilienti sono descritte maggiori capacità di controllo volontario (definito top-down) nella regolazione delle emozioni, insieme a un’elaborazione maggiormente consapevole del vissuto traumatico.

Il disturbo post traumatico da stress è un disturbo abbastanza diffuso nella popolazione, circa il 4%. Il sintomo prevalente è la dissociazione, presente nel 15-30% dei pazienti, che comporta l’interruzione completa o parziale di alcune funzioni cognitive, come memoria, identità, emozione, percezione e consapevolezza corporea. La dissociazione si manifesta prevalentemente con perdita di contatto con il proprio corpo e con l’ambiente circostante.

IL DPTS viene interpretato come un disturbo disfunzionale dell’apprendimento, in particolare con un iniziale squilibrio della memoria e una conseguente disregolazione dell’umore. È caratterizzato da una risposta a eventi stressanti condizionata da un precedente evento traumatico. L’ipotesi più accreditata è che tale evento viene rivissuto internamente sotto forma di flashback con rivisitazione involontaria dell’evento, reazioni neurofisiologiche concomitanti (palpitazioni, accelerazione del respiro, ecc.) e reazioni motorie negative con evitamento di situazioni collegate al trauma, irritabilità, ritiro emozionale e dalle attività sociali.

Gli studi sul DPTS sono cominciati a partire dagli anni ’90 e sono stati condotti principalmente sui veterani americani del Vietnam che presentavano sintomi psichicamente invalidanti. Sono stati messi a punto protocolli di studio per i quali, somministrando ai pazienti degli stimoli (script) che facevano riemergere memorie traumatiche, venivano attivate specifiche aree cerebrali come ippocampo, amigdala, corteccia prefrontale, corteccia cingolata anteriore, insula e altre ancora.

Nella più recente edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5, 2013) sono stati descritti altri sintomi come alterazioni negative dell’umore, della memoria e di altre abilità cognitive, legate alla disfunzione dell’ippocampo, una regione del Sistema nervoso centrale dedicata prevalentemente all’immagazzinamento e al richiamo di nuove informazioni.  La memoria del trauma attiva infatti delle reti cerebrali coinvolte nella risposta a eventi stressanti e che incutono timore, provocando una reazione di attivazione generalizzata in tutto il corpo.

Di seguito una breve analisi delle modificazioni morfologiche e funzionali a livello delle regioni cerebrali di grande importanza nel DPTS, ovvero ippocampo, amigdala e corteccia prefrontale. Tutte queste regioni fanno parte di una rete cerebrale coinvolta in processi chiave tra cui il condizionamento alla paura, la regolazione degli stimoli emotivi e la valutazione delle informazioni relative al contesto.

Ippocampo

L’ippocampo ha un ruolo molto importante nei circuiti della memoria. Varie ricerche hanno descritto una riduzione di volume e dell’attivazione dell’ippocampo associata al disturbo post traumatico da stress, in seguito a traumi psicologici in veterani di guerra rispetto a soggetti sani, probabilmente in conseguenza dell’incremento della secrezione cronica di cortisolo associata a questo disturbo (Veer et al., 2012).

A ulteriore conferma di una consistente implicazione dell’ippocampo, studi più recenti (Khalaf et al., 2018), hanno documentato che la riesposizione al ricordo di eventi traumatici, rispetto alla semplice soppressione del ricordo stesso, dia risultati molto convincenti nel processo di guarigione dal trauma psicologico.  

Amigdala

L’amigdala, invece, è una porzione cerebrale molto importante nella risposta emotiva, e presenta un’elevata attivazione nei soggetti sintomatici per DPTS. Infatti, l’amigdala è fortemente coinvolta nell’interpretazione e nella valutazione del contenuto emotivo degli stimoli e riveste un ruolo cruciale nei meccanismi di risposta allo stress e alla paura. I pazienti con DPTS sono particolarmente sensibili alle minacce potenziali provenienti dall’ambiente circostante ed associate al trauma subito, e spesso soffrono di un condizionamento alla paura, associato ad una iperattivazione patologica dell’amigdala, la quale avviene principalmente in presenza di stimoli ambigui o negativi.

In alcuni studi, inoltre, è stato anche documentato il fatto che anche l’esposizione a maltrattamento infantile, indipendentemente dallo sviluppo di DPTS, possa influenzare lo sviluppo anomalo dell’amigdala.

Corteccia prefrontale

Per quel che riguarda la corteccia prefrontale (PFC) infine, gli studi di neuroimmagini funzionali in pazienti con DPTS ne hanno evidenziato una ridotta attivazione; in particolare, nelle reti di connessione con l’amigdala, molto importanti nella regolazione delle risposte emotive. La PFC riduce l’attivazione dell’amigdala, attenuando la risposta agli stimoli ansiogeni. Per questo motivo, i pazienti con DPTS, in mancanza di una corretta e pronta inibizione dell’amigdala da parte della PFC, mostrano una risposta patologica agli affetti negativi.

Senza entrare nel dettaglio, possiamo dire che i trattamenti terapeutici più aggiornati hanno comportato, insieme al miglioramento dei sintomi caratteristici (pensieri intrusivi, rimuginazioni, disturbi dissociativi veri e propri), la modificazione delle risposte emotive. Si è assistito infatti alla transizione verso risposte emotive meno automatiche ma più articolate e consapevoli, con il parallelo spostamento dell’attivazione da regioni cerebrali più antiche (come l’amigdala) verso regioni cerebrali più recenti come la corteccia prefrontale.

 

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