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Il burnout genitoriale: è possibile stancarsi dei propri figli?

Stavolta prendo spunto da un interessantissimo articolo pubblicato su Mind, una rivista scientifica del gruppo Repubblica. Le autrici, due psicologhe ricercatrici all’Università di Lovanio in Belgio, hanno studiato il fenomeno del burnout genitoriale su un campione di 3000 genitori. Cosa si intende per burnout? Il concetto di burnout (letteralmente “bruciarsi”) è emerso per la prima volta alla fine degli anni ’60 per identificare un forte disagio psicofisico connesso al lavoro per tutte quelle figure professionali che hanno a che fare con la gestione quotidiana dei problemi altrui (infermieri, vigili del fuoco, figure di assistenza, insegnanti, medici, psicologi). Il burnout si caratterizza per un progressivo logoramento fisico ed emotivo dovuta ad una non efficace gestione dello stress lavorativo.

Il concetto di burnout genitoriale emerge per la prima volta agli inizi degli anni ’80 in riferimento ai genitori con figli affetti da malattie croniche. In questo studio iniziato nel 2011 le ricercatrici hanno sostenuto che tale fenomeno possa colpire non solo i genitori di bambini con malattie croniche ma anche tutti i genitori che accumulano vari fattori di rischio in un dato momento di vita: come ad esempio la malattia di un figlio e una separazione. Prima di proseguire voglio fare una doverosa ed importante precisazione: il burnout genitoriale non ha nulla a che vedere con il baby blues o la depressione post partum. Il primo è un fenomeno biologico legato all’oscillazione ormonale nei giorni successivi al parto, la seconda è una condizione che insorge nel primo anno di vita del bambino e che è caratterizzata da un umore costantemente depresso e dalla perdita di entusiasmo in tutti gli aspetti della vita. Il burnout genitoriale invece, può colpire il genitore in qualsiasi momento di vita a prescindere dall’età dei figli che quindi potrebbero essere anche adolescenti o adulti. Inoltre, proprio come in quello lavorativo, è un fenomeno che rimane confinato alla sfera familiare senza intaccare le altre. Potremmo essere soddisfatti e motivati nella sfera delle relazioni e del lavoro e soffrire di burnout nel momento in cui ricopriamo il ruolo di genitori.

Secondo le due autrici ci sono tre sintomi principali: il primo è un progressivo senso di esaurimento: ci si sente esausti, privi di energie e stremati. Il secondo è il distacco affettivo: non si hanno più energie per investire nel rapporto con nostro figlio, si dedica sempre meno attenzione al suo vissuto emotivo e si dà una minore importanza ai suoi bisogni. Infine c’è la perdita di efficacia come genitore: ci si rende conto di non essere più il genitore che volevamo essere e si perde fiducia nelle proprie capacità. La causa che induce una condizione di questo tipo è da ricercarsi nell’ormai famoso e diffuso concetto di stress. Essere genitori come abbiamo già detto, è spesso motivo gioia ma è anche motivo di stress: ognuno di noi si trova ad affrontare una serie di sfide più o meno importanti, prima fra tutte la riorganizzazione della vita intorno a quella del bambino che comporta spesso la rinuncia ad alcune attività che prima erano fonte di piacere. A questo si aggiunge l’occuparsi in simultanea dei figli, della casa e delle difficoltà di tutti i giorni. Infine diventare genitori richiede a mio parere un’eccellente capacità del gestione del tempo: soprattutto se facciamo parte di quei genitori che non vogliono rinunciare ad un’uscita con gli amici, ad un tempo di qualità trascorso con i propri figli, ad un po’ di tempo per sé stessi, ad un minimo di realizzazione professionale o a uno straccio di vita di coppia. La sensazione che il tempo scorra troppo velocemente e che non si riesca a sfruttarlo nel modo giusto può aumentare notevolmente i livelli di stress. Tra i principali fattori di rischio che ci espongono alla possibilità del burnout genitoriale, non possiamo non citare il perfezionismo. Noi genitori spesso incorriamo nel rischio di voler essere perfetti e non appena questo scopo viene compromesso, colpa e invidia diventano le nostre migliori amiche. Ci sentiamo in colpa per aver desiderato di sedere sul divano a guardare un programma pur non avendo visto nostro figlio per tutto il giorno; o per non aver condiviso l’entusiasmo del nostro bambino al rientro da una giornata di lavoro intensa; o per esserci innervosite per un nonnulla. Proviamo invidia verso i genitori e le famiglie degli altri, quelle sembrano sempre più perfette delle nostre. “Dov’è finito il genitore che volevo essere?” “Gli altri genitori se la cavano alla grande, sono io che sono un disastro” “Com’è possibile che io non voglia stare con i miei figli proprio quando hanno bisogno di me e non li vedo da 10 ore?”. Valutazioni di questo tipo non fanno che aumentare il senso di colpa e di inefficacia personale esponendoci al rischio di burnout. Inoltre, una condizione di burnout che si protragga per lungo tempo potrebbe avere effetti sulla nostra salute fisica portando ad un indebolimento delle difese immunitarie, all’aumento della pressione arteriosa e del rischio di malattie cardiovascolari, a problemi digestivi o a possibili contratture muscolari. È importante allora essere attenti ai segnali di allarme e ai sintomi di cui abbiamo appena parlato per valutare la possibilità di soffrire di burnout genitoriale e poter intervenire. Ma come intervenire? Ne parliamo QUI.