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Invidia: perché la proviamo tutti?

Che cos’è l’invidia?

A tutti prima o poi nella vita è capitato di invidiare qualcun altro, o perché possedeva una macchina o una casa più belle delle nostre, o perché era (o ci sembrava) più bello, intelligente, di successo. Ma cos’è esattamente l’invidia? È legata al possesso di un bene o a qualcos’altro? Ci sono persone più predisposte a questo sentimento che causa tanta sofferenza in chi lo prova? Questo è il primo articolo di una serie di tre che ci aiuta a capire meglio l’invidia e a difenderci dai suoi effetti negativi.

Un’emozione sociale

La prima cosa importante da sottolineare è che l’invidia è un’emozione sociale, determinata dal rapporto con gli altri e rivolta verso gli altri. Viene “accesa” da un bene che si desidera ma non si possiede e dal confronto svantaggioso nei confronti di qualcuno che lo ha ottenuto. Quando il dolore per il desiderio frustrato prende la strada dell’ostilità verso chi ci sembra “avvantaggiato”, ecco che ci troviamo di fronte all’invidia.

Si può invidiare qualsiasi cosa?

La gamma degli oggetti “invidiabili” è amplissima, probabilmente infinita: dall’automobile, alla casa, alla forza di volontà o alla serenità di spirito di un’altra persona, tanto che addirittura Gucci ha impostato un’intera campagna pubblicitaria su un profumo il cui nome era proprio Envy me, invidiami.

Tra i beni desiderabili ci sono sicuramente i beni di lusso, i più esclusivi, che evidenziano un’elevata posizione sociale, permettono di farsi notare. Si parla infatti in questo caso di beni “posizionali”, vale a dire funzionali a stabilire il rango di un individuo nella gerarchia sociale, indipendentemente dal valore assoluto del bene in sé. Talvolta, il desiderio di ottenere un determinato bene sorge “a posteriori”, quando l’invidioso si accorge della soddisfazione o del prestigio sociale che ne ricava l’invidiato.

L’invidia come desiderio di potere

Alcuni studiosi sostengono che desiderare qualcosa perché la possiede un altro sia una caratteristica necessaria dell’invidia, e permette di distinguere il desiderio dell’invidioso dal desiderio puro e semplice per un determinato bene.

In ogni caso, il criterio fondamentale per individuare l’invidia è la compresenza di un altro desiderio, cioè che l’avvantaggiato perda il bene in questione, anche se la perdita di questo bene non si traduce in un’acquisizione corrispondente per l’invidioso. Questo accade perché ciò che caratterizza l’invidia non è la semplice mancanza del bene desiderato, ma il senso di inferiorità che la genera.

Infatti, se va un po’ più a fondo nell’analisi, ciò che veramente invidiamo non è questa o quella cosa, ma il potere. Il potere inteso come qualsiasi mezzo, materiale o immateriale, che può aiutarci a soddisfare i nostri scopi: soldi, posizione sociale, bellezza, intelligenza. La differenza di potere tra due persone può essere colmata in due modi: lo svantaggiato acquisisce il bene desiderato, oppure l’avvantaggiato perde il bene in questione.

Ecco perché l’invidioso si trova a desiderare il danno dell’altro: perché gli permette di riequilibrare la differenza di potere. In altre parole, il bene mancante svolge il ruolo di occasione per il confronto di potere. Ed è il senso di inferiorità, risultante dal confronto, la strada maestra che porta all’invidia. Tant’è vero che l’invidioso non desidera necessariamente che l’invidiato perda quel determinato bene su cui è avvenuto il confronto: può anche desiderare che perda qualcos’altro, che ai suoi occhi ha un’importanza equivalente.

Il costante confronto con gli altri

In effetti, ciò che conta nella vita sociale è essere dotati di abbastanza potere (risorse, abilità, competenze) rispetto a quello altrui, perché la capacità di soddisfare i nostri scopi in qualche modo è di natura comparativa: essere ricchi o poveri, attraenti o non attraenti, intelligenti o stupidi dipende sempre dal confronto con la ricchezza, la bellezza, l’intelligenza altrui. Quindi i beni o le capacità in mio possesso saranno sufficienti a consentire la soddisfazione dei miei scopi se io non sono meno (o sono più) dotato degli altri. Solo in questo caso sarò abbastanza ricco, attraente o intelligente. Come recita un famoso detto evangelico: un guercio è senz’altro svantaggiato in un mondo di vedenti, ma sarà “beato” in un mondo di ciechi.

Il ruolo del confronto è evidente nelle società più povere, in cui i beni disponibili sono scarsi e quindi il vantaggio di un individuo si traduce immediatamente nello svantaggio di un altro. Ma l’invidia può fiorire anche nelle società più ricche, perché è alimentata dalla loro natura competitiva, e quindi dal desiderio di superare gli altri e da quello di non essere superati da loro. Del resto, in ogni organizzazione gerarchica il successo e il rango conquistati da un individuo mettono a repentaglio quelli degli altri, facendoli regredire o riducendo la loro distanza dagli “inferiori”.

Si può invidiare anche chi è “inferiore”?

Sembrerebbe ovvio pensare dunque che un superiore nella scala gerarchica non possa invidiare un suo inferiore. Ma non è così. A volte, infatti, notiamo con qualche stupore il capoufficio che invidia il dipendente, il professore che invidia l’allievo, il professionista affermato che invidia il praticante appena assunto.

Tuttavia a ben guardare non c’è molto da stupirsi, perché non esiste soltanto la gerarchia creata in base alla posizione sociale (reddito, cultura, ruolo decisionale). Le “gerarchie” possibili sono tante, alcune istituzionalizzate, altre più soggettive. Il capufficio non invidierà certo la posizione sociale del suo dipendente: ma gli potrà invidiare altre cose, l’intraprendenza, l’intelligenza, la giovane età, il fatto che a quell’età abbia conseguito dei successi che lui, alla sua età, non aveva ottenuto.

Sotto gli occhi degli altri

Ma avere abbastanza potere rispetto a quello altrui, per quanto importante, non basta. È necessario che gli altri credano che le cose stanno così. Sono le valutazioni degli altri (più o meno esplicite o consapevoli) sulle nostre capacità a determinare se sceglieranno o meno di interagire con noi, di accettare le nostre richieste di cooperazione e di scambio e di lasciarsi influenzare dal nostro giudizio. E ricevere attenzione, aiuto e cooperazione dagli altri ha una grande importanza per noi: è un modo per accrescere il nostro potere di partenza, fornendoci mezzi ulteriori per soddisfare i nostri scopi. Perciò siamo molto interessati sia a conoscere il punto di vista degli altri su di noi (per capire cosa aspettarsi da loro e come eventualmente modificare il loro giudizio su di noi) sia a ricevere le loro valutazioni positive. La nostra posizione nella gerarchia sociale dipende da queste valutazioni comparative sui nostri meriti, sulla nostra reputazione e sul nostro prestigio.

Di qui, l’importanza di avere una buona immagine sociale e il suo rapporto con lo scopo di avere potere, e in particolare quello di avere più (o meno) potere di altri, cioè di essere superiori o di non essere inferiori. Infatti, anche quello di una buona immagine presso gli altri è un concetto comparativo: significa avere un’immagine migliore (e non peggiore) di quella degli altri.

Fonte: Maria Miceli, L’invidia. Anatomia di un’emozione inconfessabile, Bologna, Il Mulino, 2012.

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