La pratica della mindfulness è un compito che, come sa bene ogni meditatore soprattutto alle prime armi, richiede sforzo cognitivo e attenzione: ma fin da subito può contribuire a ridurre il vagabondare della mente (mind-wandering) e i rimuginii mentali rivolti al passato o al futuro, consentendo ai praticanti di rimanere maggiormente aderenti all’esperienza del momento presente.
Infatti, quando la mente divaga sembrano attivarsi le strutture cerebrali responsabili del ricordo degli eventi passati e dell’immaginazione di quelli futuri (corteccia cingolata posteriore, corteccia prefrontale mediale, giro paraippocampale e le cortecce posteriori/laterali temporali e parietali), contribuendo a formare il cosiddetto sistema Mental Time Travel, che permette agli esseri umani di viaggiare mentalmente nel tempo. Pare che tale sistema neuropsicologico possa essere attivato in modo automatico e inconsapevole dalle persone, contribuendo alla disposizione della mente a perdersi nel flusso temporale dei pensieri e degli scenari che spesso alimentano sofferenza psicologica e sintomi ansioso-depressivi. In effetti studi neuropsicologici e in particolare di neuroimmagini hanno documentato una correlazione tra la riduzione del mind wandering e la ruminazione grazie alla pratica meditativa e riduzione dei sintomi ansioso depressivi.
Dal punto di vista delle neuroimmagini, poi, è stata osservata una correlazione tra meditazione mindfulness e aumento della densità e volume della sostanza grigia a livello della corteccia pre frontale dorsale, della corteccia temporale, dell’ippocampo, della corteccia cingolata e dell’insula. I cambiamenti hanno riguardato anche strutture sottocorticali come il putamen e il cervelletto. Inoltre, l’effetto della pratica meditativa sembra produrre minore perdita di sostanza grigia cerebrale con l’avanzare dell’età.
La regolazione delle emozioni
Entriamo più nello specifico. Con la mindfulness si impara a stabilire un distacco rispetto alle proprie reazioni emotive senza fondersi o farsi sopraffare da esse. Ne consegue minore reattività emotiva e maggiori capacità di “fare fronte” (coping) rispetto alle emozioni disturbanti. È possibile pertanto che la meditazione migliori la capacità di sganciarsi dai meccanismi che portano ad associare stati d’animo negativi a determinate esperienze, sostituendoli con altri stati d’animo più positivi e riducendo così rimuginii mentali e reattività emotiva.
Recenti studi di neuroimmagini hanno verificato che meditatori esperti presentano una riduzione dell’attivazione di alcune aree cerebrali (in particolare, delle aree pre frontali) durante l’esposizione di immagini con un certo contenuto emotivo, e cambiamenti strutturali in alcune regioni cerebrali (come la corteccia pre frontale ventro mediale e l’ippocampo), cruciali nell’inibizione di risposte comportamentali condizionate dalla paura.
In definitiva, gli studi di neuroimmagini hanno confermato che, mentre un soggetto non esperto di meditazione, metterebbe in atto meccanismi di controllo top-down (quindi dall’alto verso il basso) sull’esperienza sensoriale, durante la regolazione delle emozioni, un soggetto esperto di meditazione potrebbe non aver bisogno di una regolazione e di un controllo attivo per gestire le risposte emotive, avendo maggiormente automatizzato una risposta di tipo bottom up (quindi dal basso verso l’alto) di minore reattività e di maggiore accettazione dell’esperienza emotiva positiva o negativa, legata al qui e ora.
Questi risultati sono la base teorica dell’impiego di queste tecniche meditative negli approcci di psicoterapia cognitivo comportamentale di “terza generazione” basati sulla mindfulness, come la DBT, ideata e sviluppata da Marsha Linehan, che si è mostrata efficace per problemi di disregolazione emotiva e difficoltà nel controllo degli impulsi, in particolare per il Disturbo Borderline di Personalità, promuovendo una minore reattività emotiva e nuovi schemi comportamentali e azioni più flessibili ed efficaci.
La consapevolezza del corpo
La pratica meditativa segnala l’importanza della consapevolezza diretta del corpo, senza intermediari. Si tratta di prendere un contatto diretto con le sensazioni del proprio corpo, dal momento che l’attenzione non giudicante applicata alle sensazioni corporee ha un importante potere trasformante, cosicché una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni aiuta a regolare meglio tensioni e malesseri, che solitamente si realizzano con sintomi corporei.
Gli studi di neuroimmagini hanno documentato cambiamenti strutturali consistenti a livello di alcune regioni cerebrali (in particolare, insula, della corteccia somato sensoriale e a livello della giunzione temporo parietale) che giocano un ruolo cruciale nella percezione degli stati interni del corpo e delle sensazioni provenienti dal mondo esterno.
La rappresentazione del sé
Studi neuropsicologici hanno attestato come la prativa meditativa costante aiuti a ridurre i tratti caratteriali di nevroticismo (scarsa resistenza a stress di tipo emotivo, tendenza all’ansietà e irritabilità) e a migliorare i livelli di coscienziosità (affidabilità e responsabilità nel comportamento di un individuo, nonché la sua autodisciplina e la sua perseveranza). Inoltre, individui esperti di meditazione sembrano essere in grado di impegnarsi in un’analisi della realtà sensoriale più distaccata ed oggettiva, riuscendo a lasciar andare una elaborazione degli stimoli maggiormente condizionata da stati d’animo soggettivi.
In definitiva, grazie alla mindfulness, il paziente sviluppa un maggiore distacco dai propri contenuti di pensiero e abbraccia una visione di sé più dinamica e aderente alla realtà.
Mindfulness e compassione
La mindfulness presenta numerosi ulteriori benefici. In primo luogo, aiuta ad affrontare meglio il dolore inevitabile o il senso di fallimento che si sperimenta nella vita, che quindi non viene amplificato e perpetuato attraverso una dura autocritica, praticando una gentilezza amorevole verso se stessi. In secondo luogo, riduce l’egocentrismo alla base della sensazione separativa di isolamento dal resto dell’umanità, aumentando invece la sensazione di interconnessione. Inoltre, tenere presente che la sofferenza e il senso di fallimento accadono a tutte le persone, aiuta a contestualizzare la propria esperienza in una prospettiva più ampia e sviluppa la capacità di porre attenzione in modo consapevole ai propri pensieri ed emozioni, senza identificarsi eccessivamente con essi.
Questi risultati hanno condotto, tra l’altro, all’elaborazione della Compassion Focused Therapy (CFT), una terapia strutturata su interventi cognitivo-comportamentali, sull’importanza della relazione terapeutica e sull’uso della mindfulness in ambito clinico.
Fonti: La neuroscienza della mindfulness, di Fabio D’Antoni, Cristiano Crescentini, Alberto Chiesa in Il Cervello che cambia. Neuro-imaging: il contributo alle neuroscienze, a cura di Marco Pagani e Sara Carletto, Mimesis
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