Una recente ricerca finanziata dal NIHR (Maudsley Biomedical Research) Centre e pubblicata su The British Journal of Psychiatry, ha mostrato come sia possibile distinguere tra individui con Disturbo dissociativo dell’identità (DID) e individui sani, sulla base della loro struttura cerebrale, attraverso avanzate tecniche di neuroimaging (fra cui la risonanza magnetica funzionale – fMRI, e la tomografia a emissione di positroni – PET).
I ricercatori hanno eseguito scansioni cerebrali MRI su 75 partecipanti allo studio, tutti di sesso femminile – 32 con diagnosi di DID confermate in modo indipendente – e 43 controlli sani. I due gruppi sono stati accuratamente abbinati per caratteristiche demografiche quali l’età, gli anni di istruzione e le origini. I ricercatori sono stati in grado di distinguere i due gruppi con una precisione complessiva del 73%, significativamente superiore al livello di precisione che ci si aspetterebbe basandosi sulla probabilità. Si tratta del primo studio che dimostra che gli individui con DID possono essere distinti dagli individui sani sulla base della loro struttura cerebrale.
Il DID, precedentemente noto come “disturbo di personalità multipla”, è uno dei disturbi della salute mentale più discussi e controversi, con gravi problemi nell’identificazione della diagnosi e di diagnosi errate. Molti pazienti con DID condividono una storia di anni di diagnosi errate, di trattamenti farmacologici inefficienti e di numerosi ricoveri.
È il più grave tra tutti i disturbi dissociativi, e implica stati di identità multipli e amnesia ricorrente. I disturbi dissociativi possono insorgere quando la dissociazione viene impiegata come modo per sopravvivere a traumi complessi e prolungati durante l’infanzia, quando il cervello e la personalità sono ancora in via di sviluppo.
La Dottoressa Simone Reinders del King’s College di Londra è stata alla guida del progetto che ha coinvolto due centri olandesi, il Centro medico universitario di Groningen e il Centro medico di Amsterdam, e uno della Svizzera, l’ospedale universitario di Zurigo. Commentando i dati emersi, Reinders ha affermato: “La diagnosi DID è controversa e gli individui con DID sono spesso diagnosticati in modo sbagliato. Dal momento della ricerca del trattamento dei sintomi, fino al momento di un’accurata diagnosi di DID, gli individui ricevono in media quattro diagnosi errate e trascorrono sette anni in servizi di salute mentale. I risultati del nostro studio sono importanti perché forniscono una prima prova dell’esistenza di una base biologica per la distinzione tra individui con DID e individui sani. In definitiva, l’applicazione di tecniche di riconoscimento dei modelli potrebbe prevenire sofferenze inutili grazie a diagnosi precoci e più accurate, facilitando interventi terapeutici più rapidi e mirati”.