Gli psicologi sostengono che una relazione romantica stabile sia il pilastro assoluto della felicità e di un generale benessere degli esseri umani. Ma l’amore può portare anche allo sviluppo di depressioni cliniche e tentativi di suicidio. Quando l’amore è un problema psicologico e per quale motivo lo diventa?
Nessun’altra esperienza umana sembra incidere così tanto sulla vita delle persone come l’innamoramento. Per amore un uomo può decidere di sposare una donna con dei figli e accettare di svolgere la funzione di padre, anche se non aveva mai pensato prima di vivere con dei bambini. Oppure può improvvisamente cambiare religione, città, paese: per influenza dell’innamoramento le persone fanno cose che non hanno mai pensato di fare. Ma cosa sappiamo riguardo all’amore? «Dopo trent’anni di studi clinici ed esperimenti abbiamo un fiume di conoscenze nuove sull’amore», sostiene Sue Johnson, autrice di Love sense.
Prima di tutto sappiamo che nella specie umana l’innamoramento e l’amore sono fasi completamente diverse, legate a bisogni differenti. L’innamoramento è un meccanismo ancestrale che, da un punto di vista evolutivo e biochimico, ha solo la funzione di avvicinare due individui per portarli all’accoppiamento. È un legame di dipendenza che si è evoluto dai nostri antenati per promuovere il legame di coppia e la riproduzione tra gli esseri umani ed è esclusivamente finalizzato alla continuità della specie umana. L’amore tra due individui, invece, ha la funzione di garantire stabilità al nucleo familiare, necessaria all’accudimento dei piccoli e alla loro crescita ed è determinato dalla cultura e dall’apprendimento più che dalla natura.
Amore e innamoramento hanno dunque anche meccanismi biochimici differenti. Espressioni quali “Ho perso la testa”, “Non riesco a pensare ad altro”, “È una droga” ci segnalano una condizione davvero peculiare legata all’innamoramento. L’eccitazione fisiologica e sessuale, il bisogno costante e impellente dell’altro, la sensazione di felicità, sono tutti meccanismi tipici di questa fase che si attivano quando nel nostro corpo sono presenti dosi massicce di dopamina, noradrenalina e feniletilammina. Questi meccanismi biochimici e psicologici rendono l’innamoramento molto simile alla dipendenza da droghe e sono infatti gli stessi neurotrasmettitori che si attivano in soggetti che soffrono di una dipendenza da sostanze. Ma la presenza di questi neurotrasmettitori nel corpo non durerà per sempre (dura circa 1 anno/18 mesi, al massimo fino a 3 anni) e lasceranno molto presto spazio a sostanze meno “eccitanti” che, però, garantiscono stabilità al rapporto nel tempo. Le sostanze in questione sono ossitocina per la donna e vasopressina per l’uomo, i quali rappresentano i correlati biochimici di stati d’animo quali l’affetto, una gioia pacata e diffusa legata alla presenza dell’altro, calore interno, senso di dedizione e cura per l’altro e vengono attivati dall’abbraccio e dalle carezze.
Ma l’innamoramento non sempre porta alla formazione di una coppia stabile nel tempo e può avere anche un impatto negativo sulla vita degli individui e sulla società. Quando questa sensazione di amore romantico non è corrisposta può provocare stati di profondo dolore e disperazione. Alcune persone soffrono ma riescono a gestire il distacco da un amore non corrisposto e ad allontanarsi, oppure a lasciare il partner in caso di maltrattamento. Per altre, invece, questo distacco può essere così difficile da provocare depressioni cliniche, comportamenti di stalking, tentativi di suicidio, omicidi e altri crimini di passione. Altre ancora rimangono incastrate in rapporti maltrattanti per anni, a volte per una vita intera. Chi presenta questo tipo di problemi solitamente ha storie pregresse di traumi legati alla affettività (gravi traumi dell’attaccamento o trascuratezza) o problemi di regolazione delle emozioni dovuti a una predisposizione genetica e a un ambiente percepito come “ostile”.
Ma come distinguere l’amore maturo da queste forme di amore distruttivo?
Robin Norwood, nel suo famoso libro di autoaiuto Donne che amano troppo, spiega la differenza. L’amore maturo nutre la persona ed è finalizzato alla costruzione di una coppia che si aiuta e si sostiene. È basato sul volersi bene, sulla condivisione di valori e progetti, sulla fiducia e sul rispetto reciproco. Il sentimento di amore maturo, dunque, è la base su cui si costruisce la stabilità di una coppia ed è prima di tutto un sentimento di reciprocità. Senza reciprocità non è un vero sentimento di amore.
E poi c’è l’amore che distrugge: nel suo volume la Norwood racconta molte storie di donne che si sono ammalate fisicamente e mentalmente a causa di un amore eccessivo nei confronti dei loro partner maltrattanti.
In termini di esperienza emotiva, queste due forme di “amore” non sono facilmente distinguibili tra loro. Le sensazioni interne sono le stesse e possono confonderci: un impulso irrefrenabile ad andare verso la persona “amata”, a voler stare con lui/lei a tutti i costi, un’intensa gioia nel vederla, euforia, affetto, senso di calore e di pienezza, attrazione sessuale. Valutare l’intensità del sentimento, inoltre, non aiuta ma può ingannare ancora di più. Nel caso dell’amore maltrattante, infatti, queste sensazioni emotive possono essere anche più intense, perché alimentate da bisogni mai soddisfatti, e hanno per questo un forte senso di veridicità. Ma in realtà sono sensazioni che non hanno alcuna corrispondenza sul piano relazionale. Quello che succede a una persona “maltrattata”, quindi, è molto simile a quello che succede a chi ha un attacco di panico e pensa di avere un infarto. Chi ha il disturbo di panico, nel momento più acuto, crede davvero di avere un infarto o un ictus o di impazzire, ne è assolutamente convinto. Può andare al pronto soccorso, allarmando familiari e medici rispetto alla gravità della sua condizione, senza alcuna corrispondenza con la realtà dei fatti. In questo caso è solo una sensazione interna, così intensa da sembrare vera. Allo stesso modo chi è soggetto a forme di amore distruttivo crede davvero di amare la persona oggetto delle sue attenzioni, senza avere la consapevolezza del problema psicologico che è alla base di quella sensazione.
Robin Norwood ci spiega chiaramente come riconoscere questa forma di amore ingannevole che lei definisce “amare troppo”. E scrive: «Quando essere innamorati significa stare male, stiamo amando troppo. Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza o li consideriamo conseguenze di un’infanzia infelice, stiamo amando troppo. Quando mettiamo a repentaglio il nostro benessere, la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo amando decisamente troppo».
Chi ama troppo, quindi, ha una forma di vuoto/bisogno affettivo o bisogno d’innamoramento così forte da sviluppare una vera e propria dipendenza da queste sensazioni euforizzanti, tanto è vero che gli studi di neuroimmagine dicono che, nei momenti di eccitazione, nel cervello di queste persone si attivano le stesse zone di chi abusa di cocaina.
Oggi in letteratura ci sono vari nomi che indicano questo costrutto psicologico: dipendenza affettiva (nome usato anche dalla Norwood), love addiction, codipendenza, dipendenza relazionale. Marsha Linehan, professore di psicologia all’università di Washington e da molti considerata la più grande studiosa di problemi di regolazione delle emozioni, usa il termine amore non giustificato dai fatti, ossia un’emozione di amore che, come l’attacco di panico, non ha alcuna corrispondenza con la realtà esterna e che è quindi solo dovuta alla difficoltà della mente di regolare in modo appropriato il proprio bisogno di affettività. E nei suoi workshop afferma: «L’innamoramento può essere uno stato problematico delle persone che hanno emozioni forti e non sanno come regolarle e va trattato come un problema da risolvere».
Cosa fare? A oggi non ci sono cure con prove di efficacia (trattamenti evidence-based) specifici per questo problema. Tuttavia trattandosi di problemi legati alla regolazione della sfera emozionale, tipici di persone con storie affettive traumatiche, gli approcci di psicoterapia efficaci potrebbero essere quelli finalizzati alla regolazione delle emozioni, come la DBT e le altre terapie evidence-based per il disturbo borderline di personalità che hanno come focus la mentalizzazione (come la terapia basata sulla mentalizzazione di Bateman e Fonagy o la terapia metacognitivo-interpersonale MIT), o le terapie specifiche per la cura dei traumi come l’EMDR o la sensorimotor. Altri trattamenti utili potrebbero essere, inoltre, le terapie basate sulla mindfulness, come l’ACT e la compassion focus therapy, in quanto sviluppano l’accettazione e riducono la reattività emotiva. Ma la somiglianza neurale con le dipendenze da sostanza ci fa ben sperare e presto potremmo avere psicoterapie specifiche anche per questo tipo di sofferenza.