Continuiamo il nostro viaggio nell’invidia. Ora, è vero che ci sono alcuni tipi di personalità più inclini all’invidia, ad esempio con problemi di autostima, ansia, depressione, irritabilità e tendenze ostili. Ci sono però alcune circostanze particolari nelle quali si può manifestare l’invidia anche negli invidiosi “occasionali”. Ecco quali.
Affinità con il rivale
Si invidiano con maggiore probabilità coloro che sono vicini per tempo, spazio, età, reputazione. Una spiegazione molto probabile è che questa affinità induce pensieri che in psicologia sono chiamati “controfattuali”, ovvero del tipo “sarebbe potuto capitare a me”, stabilendo un confronto tra quello che è stato e quello che avrebbe potuto essere. Pensare “avrei potuto essere io” e constatare che invece non è così acuisce la sofferenza della frustrazione: i desideri frustrati che ci sembrano alla nostra portata fanno soffrire di più di quelli che vediamo per noi irraggiungibili e tendiamo a relegare in un mondo di fantasia. Ci sono anche aspetti legati all’autostima, perché dire “avrei potuto essere io”, significa che il vantaggio del rivale rappresenta in qualche modo una critica per lo svantaggiato. Buona parte del tormento, infatti, nasce dal sospetto che ci sia qualcosa di “sbagliato” (inadeguato, incapace, inconcludente) in lui.
Il confronto sociale e le sue funzioni
È proprio il confronto sociale che innesca o può innescare invidia, indipendentemente dalle caratteristiche caratteriali dei soggetti. Se non avvertiamo qualche affinità con l’altro, di solito il confronto non avviene o perde interesse o rilevanza. Tuttavia, bisogna precisare che si tratta spesso più di una somiglianza percepita, che può non corrispondere alla realtà dei fatti. Inoltre, come dimostrato da numerosi studi, si tratta di una somiglianza leggermente migliorativa. Cioè scegliamo persone che sono leggermente migliori di noi: un po’ più intelligenti, un po’ più capaci, un po’ più attraenti. Quale è il vantaggio di confrontarsi con chi è un po’ meglio di noi? Che ci fornisce strumenti per migliorare noi stessi, permettendoci di raggiungere la posizione della persona di riferimento. Confrontandoci con l’altra persona, possiamo capire meglio quali sono le nostre lacune e provare a colmarle. Per questo motivo è importante il confronto soltanto con chi è un po’ meglio di noi, altrimenti se la differenza fosse troppo grande, aumenterebbe soltanto la frustrazione.
Dal confronto “verso l’alto” al senso di inferiorità
Il confronto con chi è un po’ migliore di noi si caratterizza per una prima fase di parziale assimilazione. Con il tempo, emergono delle differenze tra noi e l’altra persona, e queste differenze possono condurre ad annullare l’assimilazione iniziale, facendo emergere inizialmente un effetto di contrasto, per poi arrivare a concludere di non essere come l’altro, ma inferiori a lui. Negli invidiosi, quindi, accade qualcosa del genere: si parte da un’aspettativa di somiglianza con l’avvantaggiato, poi il confronto con la realtà delude amaramente questa aspettativa e quindi gli invidiosi stessi sono dolorosamente costretti a riconoscere la propria inferiorità. Dopo questa delusione iniziale, paradossalmente, gli invidiosi si sentono spinti a confrontarsi ancora più spesso con l’invidiato, quasi lo spiano. Questi atteggiamenti li riconfermano nella delusione iniziale, che diventa sempre più cocente, perché ogni volta ribadisce la loro inferiorità.
Importanza del dominio di confronto
Per soffrire della nostra inferiorità, il dominio su cui avere il confronto deve essere importante per noi, e in particolare, per la nostra autostima. Per esempio, se mi confronto con un collega del mio stesso ambito professionale un po’ più brillante di me, ecco che avverto un certo disagio, un malessere che mi segnala che la mia autostima viene minacciata. Se invece si tratta di pregi che riguardano mia sorella o mio fratello, queste loro doti mi rendono orgoglioso, mi vanto delle loro imprese, come se i loro pregi si dovessero riflettere indirettamente su di me: del resto, si tratta dei miei fratelli! La psicologia sociale ha dimostrato che, se il confronto avviene in un dominio che non ha rilevanza per la mia autostima, quest’ultima non viene intaccata; anzi, quanto più ci vediamo simili all’avvantaggiato e abbiamo con lui un rapporto intimo (un parente, un amico, un amante), tanto più tendiamo ad identificarci con lui e questo porterà ad un potenziamento della nostra autostima, perché brilliamo di “luce riflessa”.
Quando invece il confronto avviene rispetto a scopi “autodefinitori”, cioè funzionali a definire la nostra identità e a stabilire il nostro valore personale, rilevare una nostra inferiorità in questi campi è una seria minaccia per la nostra autostima e suscita reazioni emotive molto negative, tra cui proprio l’invidia. In questo caso, tanto più intimo è il rapporto, tanto maggiore sarà la nostra sofferenza.
Per questo motivo risulta che le relazioni sentimentali o di amicizia tra persone con “aree di competenza” distinte siano meno conflittuali di quelle tra persone con aree di competenza simili. La distanza tra i domini di affermazione personale riduce il rischio di entrare in competizione e di provare sentimenti malevoli e imbarazzanti verso la persona cara.
Fonte: Maria Miceli, L’invidia. Anatomia di un’emozione inconfessabile, Bologna, Il Mulino, 2012.
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