I problemi di mio figlio sono arrivati giorno dopo giorno, senza che fossimo in grado di capire che si stava affacciando una difficoltà molto seria e che non si trattava solo dell’adolescenza, di un carattere irritante o dell’incapacità di noi genitori di far fronte a questa trasformazione.
Nel nostro caso specifico veniva da lontano e non era individuabile neanche cercandolo. Nonostante questo, quando ci siamo rivolti a vari medici, per altri malesseri fisici, abbiamo cercato di capire come aiutare nostro figlio a superare i momenti più difficili. Nessuno si è preoccupato di andare oltre l’apparenza, in primis i vari reparti del Gaslini e del San Martino dove è stato ricoverato, i quali si limitavano a dire, anche a fronte d’interventi e cure pesanti, che si trattava in parte di comportamenti psicosomatici.
Ma questo appartiene al passato.
So adesso che i comportamenti di mio figlio erano da tempo fortemente fuorviati, anche se non visibili, che la sua sofferenza aumentava di giorno in giorno e che con essa crescevano le menzogne per nascondere quello che gli stava accadendo all’esterno ma ancor di più dentro la sua mente.
Quando poi sono scoppiate le crisi pesanti, sempre mascherate da conflitto ragazzo-genitore (io) non c’era apparentemente più niente da fare. Ci accusava di non capirlo, di non lasciargli i suoi spazi, di non ascoltarlo, mentre gli si indovinava negli occhi e nel cuore una sofferenza enorme.
Il primo aiuto determinante non lo abbiamo avuto dai servizi ma da Itaca, un’associazione per familiari di persone con disturbi mentali, fondata da alcune mamme di Genova.
Un giorno, accompagnandolo al CSM, che sapeva solo proporre medicinali e San Patrignano, ho preso l’unico volantino che offriva aiuto ai ragazzi e alle famiglie. Ho chiamato e così è iniziato il vero percorso di noi genitori per aiutare nostro figlio. Poi è venuta la diagnosi di disturbo borderline e alla fine sono approdata al corso di Family Connections (un’associazione non profit per familiari di persone con disturbo borderline di personalità). È stato un percorso graduale verso la consapevolezza di quello che ci stava accadendo. Credo anche che sia stato necessario andare per gradi, per poter acquisire le informazioni, le tattiche e le strategie per far fronte al problema.
È difficile non solo scriverlo ma anche raccontarlo. Nell’ultimo mese i rapporti con nostro figlio sono completamente mutati.
Ad esempio oggi mio figlio, appena uscito dall’incontro con il suo terapeuta, mi ha fatto una telefonata di mezz’ora, la voce normale, dentro probabilmente non era proprio bonaccia, ma aveva bisogno di parlarne ed era felice perché da quando si è sbloccata la situazione tra di noi parlarci gli sembra normale. Quando mi parla così è perché cerca di fissarsi nella mente i concetti che sono venuti fuori dall’incontro, mi usa come un fissativo.
La forza del nostro gruppo di genitori è stata seguire il manuale tutti insieme con il forte supporto dei conduttori del gruppo. Non sarebbe bastato leggerlo o studiarlo solo con un terapeuta.
Sono stata agevolata in questo periodo dalla collaborazione con mio figlio che sta facendo il percorso DBT a Milano. Le stesse cose di cui si era parlato nel gruppo lui, a volte, me le ha mostrate dal suo punto di vista. Apparentemente sembra la stessa cosa, ma parlarne con lui, applicando con lui le strategie per non esacerbare i conflitti, essere veramente sincera nel dirgli per esempio: «So che stai male. So anche che in passato nella stessa situazione avrei potuto dirti che stavi male senza capirti fino in fondo. Ma adesso coscientemente so che il tuo star male è reale e che nulla di quanto io possa dirti per cercare di sminuirlo può aiutarti. E so che per te questo sarebbe ancor più frustrante. Ti sono vicina, restiamo qui in questo momento e diamo tempo al tempo». Ebbene, quando mio figlio ha potuto credere alla verità delle mie parole, si è sciolto in lui un macigno e questo ha fatto la differenza.
Ho imparato così giorno per giorno a non abbattermi per i problemi e a non esaltarmi per i successi, a collocare al giusto posto le aspettative ma anche a mettere in primo piano il mio “voglio stare bene”: so che molto dipende dai miei comportamenti e da come io reagisco ai fattori esterni.
L’altro giorno mi ha detto che le nostre strade adesso sono parallele, che lui può fidarsi, che, pur nelle imperfezioni e negli inciampi, lui sa che io non sono giudicante, che so come soffre e non ha più bisogno di preoccuparsi per me e per il mio benessere, cosa che accresceva la sua sofferenza.
Prendo nota dei fatti e vado avanti, non mi soffermo su traguardi, ma sono soddisfatta di quanto questi tre anni mi hanno fatto crescere in consapevolezza.