“Tutti hanno vinto e tutti devono avere un premio”, dichiara il Dodo ad Alice nel Paese delle Meraviglie quando gli si chiede di stabilire il vincitore di una gara intorno a un lago. Ma nel mondo della salute mentale il verdetto del Dodo simboleggia da sempre un’aspra disputa che va al cuore stesso della psicoterapia.
Il Dodo Bird Verdict, suggerito per la prima volta negli anni ’30 dallo psicologo americano Saul Rosenzweig, sostiene che le varie forme di terapia psicologica siano tutte ugualmente efficaci. Non fa alcuna differenza se, ad esempio, una persona viene trattata con tecniche tratte dalla psicoanalisi, dalla programmazione neurolinguistica o dalla terapia cognitivo comportamentale (CBT). Ciò che aiuta veramente un paziente a recuperare sono fattori semplici come la possibilità di discutere le proprie preoccupazioni con un terapista esperto e comprensivo o il livello di impegno che è disposto a mettere in campo durante il trattamento.
Comprensibilmente, il Dodo Bird Verdict ha fatto arruffare molte piume all’interno della professione e stimolato una serie di studi volti a confermare o a confutarne l’idea. Alcuni tipi di psicoterapia sono davvero più efficaci di altri per particolari condizioni? Esistono numerosi dati che suggeriscono che la risposta a questa domanda – contrariamente alla teoria di Rosenzweig – sia “sì”. Ma quei dati provengono in genere dalla ricerca condotta dai sostenitori della terapia ritenuta apparentemente superiore e gli scettici ritengono che le loro conclusioni non siano imparziali.
Prendiamo ad esempio la bulimia, che è un fenomeno relativamente comune. Un vasto studio americano ha scoperto che quasi l’1% degli adolescenti di età compresa tra 13 e 18 anni sperimenta questa condizione a un certo punto della loro vita. Molti di questi adolescenti hanno riferito che la malattia rendeva loro molto difficile avere una vita normale e che ha compromesso le loro relazioni familiari e con gli amici. Lo studio ha anche scoperto che gli adolescenti con bulimia avevano maggiori probabilità di prendere in considerazione o addirittura di tentare il suicidio.
Data l’ampia diffusione della bulimia e le sue conseguenze potenzialmente disastrose, è fondamentale capire quali trattamenti funzionino meglio, motivo per cui i ricercatori dell’Università di Copenaghen hanno recentemente confrontato l’efficacia di due psicoterapie popolari: la CBT e la psicoanalisi. I risultati sono davvero notevoli.
Durante lo studio, 70 pazienti con bulimia nervosa sono stati sottoposti, in modo casuale, o a due anni di terapia psicoanalitica settimanale o a 20 sessioni di CBT distribuite in cinque mesi. Alla base dell’approccio psicoanalitico c’è l’idea che il comportamento bulimico rappresenti un tentativo di controllare sentimenti e desideri problematici. Il terapeuta aiuta il cliente a parlare di questi sentimenti sepolti e a capire come sono collegati alla bulimia. Quando l’individuo impara ad accettare e gestire i propri desideri più profondi, l’angoscia scompare e con essa i sintomi della bulimia.
La terapia cognitivo comportamentale (CTB), invece, è mirata ai sintomi stessi: l’obiettivo è quello di fermare il binge eating (l’abbuffata compulsiva) il più rapidamente possibile. I terapeuti della CBT ritengono che la bulimia sia indotta dal fatto che il bulimico è convinto che il suo livello di autostima dipende dalle sue abitudini alimentari, dal suo aspetto e dal suo peso. I terapeuti mostrano all’individuo come identificare e contrastare tali convinzioni, gli spiegano il ciclo del binge eating e gli propongono modelli alimentari regolari e una serie più flessibile e realistica delle linee guida dietetiche. Lavorano con il paziente per trovare piani efficaci per affrontare i momenti nei quali il pericolo di una ricaduta nel binge eating diventa più probabile e per ridurne al minimo le probabilità.
Pur avendo ricevuto, i partecipanti allo studio danese, quantità di trattamento enormemente disuguali per un periodo di tempo prolungato – dove quelli sottoposti a psicoanalisi vedevano il loro terapeuta molto più di quelli assegnati alla CBT – la CBT si è dimostrata più efficace. Dopo cinque mesi, il 42% del gruppo CBT aveva smesso di mangiare e spurgare; solo il 6% quelli che si erano sottoposti a psicoanalisi. Dopo due anni, la percentuale del gruppo di psicoanalisi che aveva debellato la bulimia era salita al 15%. Ma questo dato, ottenuto dopo due anni, era ancora molto lontano dal successo raggiunto dal gruppo affidato alla CBT (44%) e nonostante fossero ormai passati 19 mesi dalla fine del trattamento.
L’esperimento danese offre concreti motivi di speranza: sembra che la CBT possa apportare importanti miglioramenti a molte persone affette da bulimia. Ma il significato dello studio va ben oltre, perché gli autori, Stig Poulsen e Susanne Lunn, non sono specialisti della CBT ma psicoanalisti di grande esperienza. In effetti, non solo la ricerca è stata condotta in una clinica dedicata alla psicoanalisi, ma il corso del trattamento è stato sviluppato dagli stessi Poulsen e Lunn.
Nonostante tutto, la CBT è risultata facilmente vincente. Come ha commentato un editoriale nell’American Journal of Psychiatry: “Plaudiamo al candore degli studiosi per essere stati così schietti nella presentazione dei risultati. Questo non può essere stato ciò che speravano di trovare e in effetti non è ciò che avevano ipotizzato”.
Quindi, quando si tratta di psicoterapia, sembra che il Dodo si sbagli. Inoltre, se i trattamenti a breve termine possono produrre risultati simili per alcune malattie, come la depressione, non dovremmo presumere che il tipo di terapia che i pazienti ricevono sia essenzialmente insignificante. Dobbiamo invece riconoscere che alcune terapie sono migliori di altre in determinate condizioni. Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per identificarle e migliorarle e per garantire che le terapie più efficaci siano disponibili per tutti coloro che ne hanno bisogno.
Daniel Freeman è professore di psicologia clinica e ricercatore presso il dipartimento di ricerca medica presso il dipartimento di psichiatria dell’Università di Oxford.
Jason Freeman è uno scrittore di psicologia.
Su Twitter sono @ProfDFreeman e @ JasonFreeman100.
Sono gli autori di The Stressed Sex: Uncovering the Truth about Men, Women, and Mental Health